SAN GERARDO MAIELLA (1726 – 1755 - Si festeggia il 16 ottobre)

 

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San Gerardo Maiella è il patrono delle gestanti e dei bambini. Sono tante le storie di guarigione straordinaria attribuite a lui; storie di un uomo di fede che alla commozione provata alle lacrime delle mamme e ai vagiti dei bambini rispondeva con la preghiera del cuore: quella intrisa di fede, quella che spinge Dio a compiere miracoli. Il suo culto nei secoli ha travalicato i confini italiani ed è oggi diffuso in America, Australia e nei paesi europei.

La sua è una vita fatta di obbedienza, di nascondimento, di umiliazione e fatica: con l’incessante volontà di conformarsi al Cristo crocifisso e la consapevolezza gioiosa di fare la sua volontà. L’amore per il prossimo e per i sofferenti ne fanno un eccezionale e infaticabile taumaturgo che guarisce prima lo spirito – attraverso il sacramento della riconciliazione – e poi il corpo operando guarigioni inspiegabili. Nel corso dei suoi ventinove anni di vita terrena ha operato in molti paesi meridionali, tra la Campania, la Puglia e la Basilicata. Tra questi Muro Lucano, Lacedonia, Santomenna, San Fele, Deliceto, Melfi, Atella, Ripacandida, Castelgrande, Corato, Monte Sant’Angelo, Napoli, Calitri, Senerchia, Vietri di Potenza, Oliveto Citra, Auletta, San Gregorio Magno, Buccino, Caposele, Materdomini. Ognuno di questi luoghi professa un culto sincero, anche in ricordo dei fatti prodigiosi avvenuti, fatti legati alla presenza di quel giovane che ben presto fu ritenuto un santo in terra.

Nacque a Muro Lucano (PZ) il 6 Aprile 1726 da Benedetta Cristina Galella, donna di fede che gli trasmette la consapevolezza dell’immenso amore di Dio per le sue creature, e da Domenico Maiella, un sarto laborioso e ricco di fede ma di modesta condizione economica. I coniugi sono convinti che Dio c’è anche per i poveri, questo permette alla famiglia di sostenere le difficoltà con gioia e forza.

Già dalla prima infanzia è attratto dai luoghi di culto, in particolare nella cappella della Vergine a Capodigiano, dove spesso il figlio di quella bella Signora si staccava dalla madre per donargli un panino bianco. Solo da adulto il futuro santo comprenderà che quel bambino era Gesù stesso e non un essere di questa terra.

Il valore simbolico di quel pane agevola nel piccolo la comprensione dell’enorme valore del pane liturgico: a soli otto anni cerca di ricevere la prima comunione ma il sacerdote lo respinge per via della sua giovane età, com’era consuetudine a quel tempo. La sera seguente il suo desiderio è esaudito da San Michele Arcangelo che gli offre l’agognata Eucaristia. A dodici anni la morte improvvisa del padre ne fa la fonte principale di sostentamento della famiglia. Diventa apprendista sarto nella bottega di Martino Pannuto, luogo di emarginazione e maltrattamento per la presenza di giovinastri spesso in atteggiamenti arroganti e discriminanti verso la sua docilità d’animo. Il suo maestro invece ha grande fiducia in lui e nei periodi in cui il lavoro scarseggia lo porta con sé a coltivare i campi. Una sera inavvertitamente Gerardo dà fuoco al pagliaio mentre era lì con il figlio di Martino: è panico generale, ma le fiamme si spengono istantaneamente a un semplice segno di croce e relativa preghiera del ragazzo.

Il 5 Giugno 1740 Monsignor Claudio Albini, Vescovo di Lacedonia, gli impartisce il sacramento della Confermazione e lo assume in servizio presso l’episcopio. Albini è noto per il rigore e la poca pazienza ma Gerardo è felice della vita laboriosa che conduce da lui e vive rimproveri e sacrifici come flebili gesti di imitazione del Crocifisso. Ad essi aggiunge pene corporali e digiuni. Anche qui si verificano fatti inspiegabili, come quando gli cadono le chiavi dell’appartamento di Albini nel pozzo: corre verso la chiesa, prende una statuetta di Gesù bambino e invoca il suo aiuto, quindi la lega alla catena e la cala con la carrucola. Quando l’icona viene issata nuovamente è grondante d’acqua ma stringe in pugno le chiavi perdute. Da allora il pozzo è detto di Gerardiello. Alla morte di Albini, avvenuta tre anni dopo, Gerardo lo piange come un amico affettuoso e secondo padre.

Rientrato a Muro tenta per una settimana l’esperienza da eremita in montagna, poi si reca a Santomenna dallo zio padre Bonaventura, cappuccino, al quale confida la volontà di vestire l’abito religioso. Ma lo zio ne respinge la volontà, anche a causa della sua salute cagionevole. Da quel momento e fino a quando non sarà accolto tra i redentoristi il suo desiderio urta sempre contro il diniego generale. Intanto il diciannovenne apre una sartoria e ne compila di proprio pugno la dichiarazione dei redditi. L’artigiano vive una condizione modesta perché il suo motto è chi ha dia qualcosa e chi non ha prenda lo stesso. Il suo tempo libero trascorre in adorazione del tabernacolo, dove spesso dialoga con Gesù al quale dà affettuosamente del pazzerello perché ha scelto di essere recluso in quel luogo per amore delle sue creature. La sua vita illibata è oggetto di attenzione dei suoi compaesani che lo inducono a fidanzarsi, il ragazzo non ha fretta, risponde loro che ben presto comunicherà il nome della donna della sua vita: lo fa la terza domenica di maggio quando ventunenne salta sulla pedana che sfila in processione, infila il suo anello alla Vergine e si consacra a lei con voto di castità, mentre afferma a gran voce di essersi fidanzato con la Madonna.

L’anno seguente (1748), in Agosto, giungono a Muro i padri della giovanissima Congregazione del SS. Redentore, fondata da sedici anni da Alfonso Maria de Liguori, futuro santo. Anche a loro Gerardo chiede di accoglierli e riceve diversi rifiuti. Intanto il giovane partecipa alla liturgia: il 4 Aprile 1749 è scelto come figurante dell’immagine di Cristo crocifisso nella rappresentazione del Calvario Vivente a Muro. La madre sviene quando vede il figlio grondante di sangue dal corpo e dal capo trafitto di una corona di spine in una cattedrale silenziosa e attonita per la rinnovata consapevolezza del sacrificio di Gesù, oltre che per la pena provata verso il giovane figurante.

Il 13 Aprile, domenica in Albis, una schiera di redentoristi arriva a Muro: sono giornate intense di adorazione e catechesi. Gerardo partecipa con fervore e si mostra assertivo nella volontà di far parte della Congregazione. I padri ne respingono ancora una volta la volontà e il giorno della partenza consigliano alla madre di rinchiuderlo in camera per evitare che li segua. Il ragazzo non si perde d’animo: lega tra loro le lenzuola e abbandona la stanza lasciando un biglietto profetico alla mamma, affermando “vado a farmi santo”.

Implora i padri di metterlo alla prova, dopo averli raggiunti a diversi chilometri di cammino in direzione di Rionero in Volture. Nella lettera inviata al fondatore Alfonso Maria de Liguori, Gerardo viene presentato come un postulante inutile, fragile e di salute cagionevole. Il ventitreenne intanto è inviato alla casa religiosa di Deliceto (FG), dove il 16 luglio 1752 emetterà i voti.

Lo mandano come “Fratello inutile” in vari conventi redentoristi, dove fa di tutto: il giardiniere, il sacrestano, il portinaio, il cuoco, l’addetto alla pulizia della stalla e in tutte queste umili semplicissime mansioni l’ex ragazzo “inutile” si esercita a cercare la volontà di Dio.

Un bel giorno è colpito dalla tubercolosi e deve mettersi a letto; sulla porta della sua cella ha fatto scrivere; “Qui si fa la volontà di Dio, come vuole Dio e fino a quando vuole Dio”.

Muore nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1755: ha soltanto 29 anni, dei quali appena tre passati in convento durante i quali ha fatto passi da gigante verso la santità.

Beatificato da Leone XIII nel 1893, Gerardo Majella è stato proclamato santo da Pio X nel 1904.

 

Fonte: http://www.miracolosangerardo.org/