MARIA E IL SILENZIO DI DIO (1)
N. 35
“ Sia benedetto il Tuo silenzio, Signore,
come ogni parola
che Tu rivolgi ad ogni uomo.
Donagli, mentre attende un Tuo segno,
la consolazione di capire
che Tu taci per amore,
così come parli per amore;
perchè sei Tu lo stesso Padre,
sia che ci guidi con la Tua voce,
sia che ci educhi
con il Tuo divino silenzio”. (Kierkegaard – Diario)
Per chi vive nella ricerca del Signore, giorno dopo giorno, come itinerante della fede, ciò che più sconcerta è il silenzio di Dio.
“Dio è colui che sempre tace, fin dal principio del mondo: qui sta il fondo della tragedia...”, diceva un poeta spagnolo.
San Giovanni della Croce esprime mirabilmente il silenzio di Dio nei suoi versi immortali:
“Dove ti nascondesti, o Amato,
e mi lasciasti nel lamento?
Come il cervo fuggisti, avendomi ferito;
uscii dietro di Te, gridando. Eri partito!”
L'esperienza vissuta della fede, la vita con Dio, sono un continuo esodo, un continuo uscire “dietro di te, gridando”.
Comincia qui l'eterna odissea dei cercatori di Dio, la storia pesante e monotona, capace di mettere fuori combattimento qualsiasi resistenza: in ogni istante, ad ogni tentativo di orazione, quando si credeva di avere scoperto il Tuo volto, Dio, già “eri partito”.
Il Signore si avvolge nel manto del silenzio e si sottrae.
Sembra che il Suo sia un volto perpetuamente fuggitivo e inaccessibile: appena appare, scompare.
Si avvicina ed immediatamente si allontana.
Sembra concretizzarsi e subito svanisce.
Se un cristiano si è lasciato sedurre dalla tentazione, o è stato vinto dalla debolezza, Dio tace: non dice neppure una parola di biasimo.
Supponiamo pure il caso contrario.
Se con uno sforzo generoso supera la tentazione, Dio tace ancora: neppure una parola di approvazione.
Hai passato una notte intera, in veglia, davanti al Santissimo Sacramento. Oltre al fatto che soltanto tu hai parlato per tutta la notte, mentre l'interlocutore ha taciuto, quando esci dalla cappella, stanco e sonnolento, non sentirai alcuna parola amabile e di gratitudine.
L' Altro ha taciuto per tutta la notte e, al momento della separazione, continua a tacere.
Se vai in giardino, ti parlano i fiori, ti parlano gli uccelli, ti parlano le stelle. Solo Dio tace.
Si dice che le creature parlino di Dio, però Dio tace.
Tutto, nell'universo, è un'immensa e profonda evocazione del mistero, ma il mistero svanisce nel silenzio.
E' il credente ad essere invaso per primo dal “dramma” del silenzio di Dio, che lo avvolge e sconcerta.
E a poco a poco viene assalito da una vaga impressione di insicurezza.
Il vecchio buon israelita supplicava: “Svegliati, perchè dormi, Signore?....Perchè nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?” (Salmo 43,24-25).
Il profeta Geremia fece un'esperienza terribilmente angosciosa del silenzio di Dio.
“Tu lo sai, Signore, ricordati di me e aiutami...Nella tua clemenza non lasciarmi perire, sappi che io sopporto insulti per te...perchè il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuole guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti” (Geremia 15,15-18).
Soltanto un profondo spirito di fede e di abbandono ed una fede adulta libereranno l'anima dal turbamento e le eviteranno la disperazione di fronte al silenzio del cielo.
La fede adulta è quella che vede l'essenziale e l'invisibile.
Essa sa che Dio respira dietro il Suo stesso silenzio, così come da dietro le montagne viene, lenta, l'aurora.
L'essenza della realtà rimane sempre nascosta all'occhio dell'uomo, sia a quella dell'occhio fisico, che a quella degli occhi dell'intelligenza.
L'essenziale, la realtà definitiva, può essere scorta soltanto dallo sguardo penetrante di una fede pura e nuda, di una fede serenamente matura.
Quale fu il comportamento di Maria dinanzi al silenzio di Dio?
Giuseppe si diresse a Betlemme “con Maria, sua sposa, che era incinta” (Luca 2,5).
Maria non poteva viaggiare in carovana, per il suo stato di gravidanza.
Le carovane procedevano tenendo quasi sempre una certa velocità, che una donna incinta, al nono mese, non poteva sostenere.
La madre dovette, quindi, camminare lentamente, con soste di riposo, in compagnia di Giuseppe, seduta su di un asinello.
A causa del suo stato, il viaggio fu per lei lento e debilitante; possiamo calcolare che, date le circostanze, sia durato tra gli otto e i dieci giorni.
Iniziava l'epoca delle piogge: quelle strade carovaniere potevano essere piene di fango e in alcuni tratti quasi intransitabili. Certamente il freddo li accompagnò per tutto il tragitto, specie nelle pianure su cui batte con forza il vento che cala dal monte Ermon.
Arrivarono a Betlemme quando Dio volle.
Luca ci riferisce il primo impatto col villaggio: “Non c'era posto per loro nell'albergo” (Luca 2,7).
Da questa notizia possiamo dedurre l'emozione profonda di Maria e trarne motivi per la nostra meditazione.
L'albergo di cui parla Luca era semplicemente quello delle carovane dell'epoca: un mediocre spazio a cielo scoperto, recintato da un muro piuttosto alto e fornito di un'unica porta. Le bestie erano radunate in mezzo al cortile, a cielo scoperto, e i viandanti si ricoveravano sotto il portico o dentro uno stanzone, finchè c'era posto. Le camerette più piccole, se esistevano, erano riservate a chi poteva permettersi quella comodità, pagando.
E là, fra quell'ammasso di uomini e di bestie, si parlava d'affari, si pregava Dio, si cantava, si mangiava e si dormiva; si poteva nascere e si poteva morire...
Quando Luca dice che non c'era posto per loro nell'albergo, probabilmente vuol dire che il posto non era adatto ad un parto imminente.
Preferirono dunque cercare un altro posto, anche se scomodo ed umido, purchè fosse solitario e riservato.
I motivi storici per cui Gesù nacque in una grotta furono due: la povertà e la riservatezza.
Maria si affida nelle mani del Padre.
Senza dubbio, fa così.
Il cielo non si manifesta, mentre i dolori del parto possono iniziare da un momento all'altro.
C'erano tutte le circostanze per sconvolgere l'equilibrio emozionale della donna più forte, ma nel caso di Maria neppure le situazioni più difficili sono state capaci di perturbare l'equilibrio interiore della giovane sposa.
Di volta in volta, il suo perpetuo “si” la libera dall'ansietà e dalla prostrazione, le conferisce una fortezza indistruttibile e la lascia immersa in uno stato di pace, dolcezza, grazia e dignità incomparabili.
E così, la serva del Signore, completamente abbandonata nelle mani del Padre, aspetta piena di ineffabile dolcezza, il grande momento.