LA PREGHIERA DI CONTEMPLAZIONE ( 1 )
N. 26
Guardi e sei guardato, ami e sei amato.
La Presenza pura, nel silenzio puro
e nella fede pura,
consumerà un’alleanza eterna.
E’ il nulla. E’ il Tutto.
Tu sei il recipiente. Dio è il contenuto.
Lasciati riempire.
Tu sei la spiaggia. Lui è il mare.
Lasciati inondare.
Tu sei il campo. La Presenza è il sole.
Lasciati vivificare.
Resta così per lungo tempo….
Poi torna alla vita pieno di Dio.
(Padre Ignacio Larrañaga)
Gli occhi del gufo….
L’adorazione focalizza lo sguardo sull’Assoluto e quindi sui valori che non tradiscono e sui quali si può costruire un’esistenza.
La preghiera di adorazione porta necessariamente alla contemplazione, a cui è strettamente legata.
Contemplare significa “vedere oltre le apparenze”, penetrare sotto la crosta, scoprire la realtà più profonda delle cose e degli avvenimenti.
Il contemplativo è uno che non si accontenta di guardare le cose in maniera superficiale.
Lui intuisce che il reale, così come appare, nasconda un’altra realtà misteriosa, che è la più vera ed autentica.
Collocandosi nella luce di Dio, lui si ostina a “leggere” in maniera diversa le cose, gli avvenimenti, gli uomini.
Contemplazione, quindi, è essenzialmente un fatto di sguardo.
Uno sguardo reso penetrante dalla fede e dall’amore.
Non per nulla i monaci antichi avevano una predilezione particolare per gufi e civette.
In questi uccelli, il cui grido notturno ci fa rabbrividire, i contemplativi scorgono il simbolo della loro vita.
Soprattutto a motivo degli occhi, enormi, capaci di forare il muro della notte.
Questi animali non si limitano ad avere degli occhi grandi.
Sembrano essere tutto e soltanto occhi.
Il gufo riesce a vedere con una luce cento volte inferiore a quella necessaria per l’uomo.
Dio ha fatto gli occhi dei gufi e delle civette così enormi affinché fossero occhi che vedono nella notte, quando le cose sono quello che sono.
Per scrutare le tenebre bisogna avere occhi smisurati, gli occhi di Dio stesso.
Allora la notte diventa luce….
Così è dei contemplativi: si ostinano a scrutare la notte di Dio.
Sono là come sentinelle in attesa, pazientemente appollaiati sulle loro fragili zampe, fino a che si levi il Sole.
I nostri occhi, attratti dalle cose immediate, appariscenti, scintillanti, che s’impongono violentemente all’attenzione, si chiudono a poco a poco, si riducono alle dimensioni degli oggetti che stanno ad un palmo di distanza.
Gli occhi dei contemplativi, come quelli dei gufi, sfidano la notte.
Pretendono di guardare attraverso la notte.
Vogliono cogliere le realtà avvolte nel mistero, le cose che non s’impongono.
Per questo s’ingrandiscono, fino a diventare immensi, capaci di afferrare la Bellezza, la Verità al di là delle cose.
Quando preghi, non avere paura di lasciarti aprire gli occhi da Dio, a diventare tutto occhi.
In tal modo la notte, per quanto oscura, può diventare la tua fonte d’illuminazione.
La contemplazione costituisce indubbiamente una forma privilegiata di conoscenza.
Non si tratta, però di una conoscenza di tipo intellettuale.
Il contemplativo “vede meglio”, non attraverso ragionamenti, ma mediante una conoscenza intuitiva resa possibile dalla familiarità con Dio, dalla fede e dall’amore, e mediante un cuore puro, incendiato dalla luce che viene dall’Alto.
Più che conoscere, il contemplativo sa riconoscere, spingendo il proprio sguardo oltre l’apparenza.
Tipico, a questo proposito, è l’atteggiamento di Giovanni nella scena conclusiva sul lago: “…Quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro:
- E’ il Signore!- ….” (Giovanni 21,7).
Giovanni, da autentico contemplativo, da innamorato, scopre l’identità di quello strano personaggio che aveva assicurato la pesca miracolosa.
Avverte una presenza, riesce a dare un volto, un nome a Colui che, per i suoi compagni e per Pietro, rimaneva uno sconosciuto, uno come tanti altri.
Il contemplativo, come Giovanni, indirizza i battiti del proprio cuore in direzione di una Persona.
Lui legge, ascolta con gli occhi e vede bene col cuore.
Il contemplativo, attraverso la familiarità con la “luce inaccessibile” (Timoteo 6,16), acquista la capacità di vedere, di accedere alla luce.
Non solo come anticipo dell’eternità, ma come scoperta delle realtà presenti.
Il contemplativo desidera vedere soltanto Dio, per essere poi in grado di vedere il fratello, mettere a fuoco il suo volto.
Se uno si ritira a pregare per non vedere nessuno, per non trovarsi tra i piedi le solite persone insopportabili, i soliti problemi sgradevoli, le solite cose banali di tutti i giorni, rischia di diventare cieco.
Ci si ritira a pregare per vedere di più, per vedere meglio.
Soprattutto per posare gli occhi sulle cose e le persone che preferiremmo non vedere e sulle situazioni che vorremmo non affrontare.
Il contemplativo è uno che si è reso conto che per vedere il fratello che gli passa accanto deve, prime, cercare il Dio invisibile.
Per raggiungere il prossimo, lui sale a Dio.
Di lì è sicuro di arrivare al fratello.
E se non ci arriva, è perché non si è avvicinato abbastanza a Dio.
Da Dio al fratello.