AMORE CRISTIANO E SESSUALITÀ


(Pedron Lino)

 

Indice:

Introduzione
1 - Amore e sessualità
2 - La novità cristiana
3 - La castità: opera di Dio, opera dell'uomo
4 - La castità in contesto coniugale
5 - La castità in contesto preconiugale
6 - La castità in contesto non coniugale
Conclusione

 

Introduzione

Una dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede su "Alcune questioni di etica sessuale" del 29 dicembre 1975 invita i vescovi e anche noi preti ad "esprimere" l’insegnamento cristiano riguardante la sessualità "in maniera adatta a illuminare le coscienze dinanzi alle nuove situazioni, ad approfondirlo", ad "arricchirlo con discernimento di ciò che può essere detto di vero e di utile circa il significato e il valore della sessualità umana" (n. 13).

Vorrei rispondere qui a tale invito, riprendendo questo tema che è intimamente connesso con le opzioni, spesso non formulate o implicite, che determinano l’atteggiamento di ciascuno di fronte alla vita, all’amore e alla libertà.

Senza dubbio vi sono altri settori nei quali oggi si gioca l’avvenire dell’umanità e s’impegna la forza dell’amore che dovrebbe esserne il motore: la pace tra i popoli, la libertà da salvaguardare, la giustizia economica e sociale, il rispetto della vita... Preoccupazioni, queste, tanto vitali che la riflessione cristiana non può trascurarle. Nondimeno, prendendo lo spunto dal documento sopra citato, mi limiterò qui a due obiettivi. In primo luogo, cercherò di dire ciò che l’amore cristiano deve essere oggi per corrispondere sia alla vocazione umana, sia alle esigenze evangeliche. In secondo luogo, proporrò alcune applicazioni particolari di questo ideale nel campo della sessualità.

Esperienze e moralità

Non bisogna nasconderlo: il dialogo tra coloro che hanno ricevuto la missione di ricordare i principi fondamentali (Mt 28,19 ss.; 2Tm 4,2), ossia la gerarchia della Chiesa, e quelli che vorrebbero che la morale sia edificata sulla base di una vita vissuta può essere delicato. Senza giungere a ridurre la morale a un semplice conformismo nei confronti dei costumi dominanti, essi insistono sul fatto che l’esperienza contribuisce largamente a chiarire e a precisare le leggi morali.

Anche se l’attenzione al reale s’impone, quest’ultima tuttavia non può dettarci le sue leggi. Si afferma spesso e volentieri che l’esperienza vissuta è la prima fonte della morale. Che dire di questa affermazione? La formulazione si presta all’equivoco perché potrebbe far credere che le norme morali non servono che a ratificare lo stato presente dei costumi: "Se fanno così è sicuramente giusto". Credo che nessuno voglia sostenere un tale conformismo.

La verità, però, è che il problema morale non si pone mai se non nel confronto con scelte concrete. È appunto in presenza di ostacoli o di opzioni ben circostanziate che si prende coscienza sia della necessità di una "bussola", sia delle direzioni da seguire.

Se molti oggi contestano questo o quell’aspetto del "vissuto" della nostra società dei consumi, è precisamente in nome dei principi che sono come il motore delle nostre conversioni quotidiane. Ciò che si può dire è che la vita morale, in quanto vissuta, contiene già una presa di coscienza che precede in qualche modo la riflessione teorica. La morale, come scienza delle norme, deve riflettere su ciò che il senso morale avvertito offre come giudizi morali concreti.

Coscienza e moralità

Nella stessa linea, si sente spesso dire: "Non abbiamo bisogno di direttive morali; ciascuno segua la sua coscienza". In questa espressione c’è di vero che il comportamento morale è sempre il comportamento di una persona concreta in una situazione particolare. Di qui il ruolo indispensabile della coscienza personale. Ma bisogna pure sottolineare che la coscienza, nella sua presa di posizione concreta, deve tener conto del senso oggettivo della situazione nella quale si trova. Ciò suppone anche che questa coscienza sia educata. Implica, per il cristiano, la necessità di una formazione permanente che deriva dall’educazione iniziale e che deve essere continuata per tutta la vita alla luce della parola di Dio e del magistero della Chiesa, interprete autorizzato della tradizione morale.

Norme e moralità

Diciamo dunque fin dall’inizio: l’esistenza cristiana non deve essere vista anzitutto come obbedienza a un insieme di regole promulgate da Dio per disciplinare i comportamenti. Il centro di gravità di un giudizio morale non può ridursi alle categorie del "permesso" e del "proibito". Il cuore della moralità è l’opzione fondamentale, che dà alla nostra vita un senso e che, normalmente, ispira le nostre decisioni particolari. La moralità cristiana si giudica anzitutto secondo che essa orienti la vita verso Gesù Cristo e il suo messaggio, oppure scelga di allontanarsene. Ciò non significa affatto che gli atti particolari non avrebbero alcuna importanza. Ma questa è secondaria, non essendo questi atti che la manifestazione dell’intenzione fondamentale che li ispira.

Morale dell’Alleanza

Considerata nel suo dinamismo essenziale, la morale cristiana è anzitutto una "morale dell’Alleanza", alla quale il cristiano è chiamato ad aprirsi nella fede, nella speranza e nella carità. Infatti è in Dio che l’amore umano attinge la sua sorgente e il suo slancio vitale. È in lui che si radica la promozione umana integrale.

In questa ottica, una norma morale non è una coercizione o una proibizione, ma un aiuto per il cammino, una indicazione segnaletica d’orientamento e, talvolta, la barriera che ci permetterà di evitare tragiche cadute.

Ciò che si attende dalla nostra Chiesa è che ci dia il desiderio di progredire. La morale consiste nel vivere nel più alto di sé, nello scegliere il massimo di essere.

Venendo al fondo di questa morale dell’Alleanza, non bisogna dunque rinchiudere la moralità nel solo dilemma "peccato" o "non peccato". Essa è la chiamata alla progressione verso il bene, cioè, in definitiva, verso Dio.

 

 

1 - AMORE E SESSUALITÀ

In questa prospettiva positiva e costruttiva, vorrei invitare ciascun cristiano a prendere coscienza delle esigenze cristiane nel settore delicato del comportamento sessuale. E, per cominciare, credo che sia indispensabile chiarire anche il significato della parola "amore", svelandone l’ambiguità nell’uso corrente.

Il termine "amore"

La parola amore è una delle più usate nel mondo contemporaneo: ci giunge incessantemente sulle onde della radio o sugli schermi, nelle innumerevoli canzoni o nei films e nella letteratura.

Purtroppo sotto questa parola magnifica si nascondono quelle che noi dobbiamo chiamare le contraffazioni dell’istinto sessuale e della sua sovrana libertà.

Un saggio cinese, interrogato un giorno su quello che avrebbe fatto se fosse stato il padrone del mondo, rispose: "Ristabilirei il senso delle parole". Immenso servizio, in effetti, da rendere all’umanità. Spetta a noi cristiani, soprattutto, di non lasciare profanare la parola "amore", di ristabilirne il senso e di non usarla se non per esprimere l’amore autentico. È urgente ricollocare nel loro vero rispettivo posto "amore" e "sessualità", in modo da non confonderli. Non è il caso qui di entrare nei dettagli. Basti ricordare alcuni aspetti contrastanti che esistono tra l’amore e l’impulso sessuale.

Contrasto

Senza dubbio non si può dissociare l’istinto sessuale e l’amore al punto da fondare l’istinto sull’animalità dell’uomo e l’amore sulla sua spiritualità. Ciò significherebbe dimenticare che l’uomo è uno e che anche la sua animalità è impregnata di spiritualità umana. Ma resta che l’istinto sessuale, ancorché comporti una certa partecipazione, una certa comunione, mira al possesso, alla captazione dell’altro.

L’amore, al contrario, è fondato sul rispetto verso la persona altrui: il rispetto gli è così essenziale come l’aria per i polmoni. "Io non potrei amarti tanto - scriveva un poeta a sua moglie - se non nutrissi per te riverenza più di quanto non t’amo".

L’amore non è mai egoismo a due, né ricerca di sé attraverso l’altro. L’amore di per sé è oblativo, non possessivo. Ridurre l’amore a una ricerca di piacere vuol dire atrofizzarlo. Non è anzitutto in nome delle esigenze della sua dottrina, ma in nome delle esigenze dell’amore stesso che la Chiesa gli impone come prima norma la fedeltà a se stesso, il rispetto della sua essenza. Quello che la Chiesa rimprovera alla letteratura dei nostri giorni non è di esaltare l’amore, ma di ignorare il vero amore, di non varcare la soglia di questo regno, di restare al di qua della nobiltà e della condizione umana.

Dissociazione

Amore e piacere genitale sono distinti a tal punto che si trovano separati in un certo numero di casi. Al livello inferiore, un tipo di dissociazione si trova nello stravizio. La prostituzione, che è una contraffazione dell’amore, dimostra da sola che la soddisfazione organica è una cosa e che l’amore è un’altra.

In una relazione su "La parte degli uomini nella prostituzione", il dott. René Biot scriveva con piena esattezza: "Il problema sta nel sapere se la sessualità è, nell’uomo, una forza identica a quella che spinge gli animali ad accoppiarsi, o se essa è essenzialmente carica di un coefficiente spirituale che ne modifica la natura radicalmente. Se la prima ipotesi è vera, niente vieti che il maschio cerchi una compagna, or qui or là, e ne possa trovare ai crocicchi delle strade o nelle case specializzate. Ma se, come noi con tutta la nostra coscienza siamo persuasi, la sessualità umana è incorporata necessariamente in un insieme molto più complesso, se essa deve, per la natura stessa dell’essere umano, spiritualizzarsi in amore, allora un atto sessuale compiuto da un uomo fuori dell’amore unico e definitivo, consacrato nel matrimonio, non è soltanto una debolezza che degrada l’uomo nella sua dignità morale, ma una caricatura della sessualità integrale. E sta qui la malvagità intrinseca della prostituzione: è il fatto ch’essa spinge l’uomo a perder di vista che le sue energie sessuali non devono mai essere dissociate dal sentimento dell’amore; non diciamo però solamente dell’attrazione (resteremmo infatti sul piano sensoriale), ma esprimiamo fortemente il senso totale e senza pentimenti della parola amore. La prostituzione concretizza e propone incessantemente la dissociazione tra sessualità e amore".

Evoluzione dei costumi

Mi pare tanto più importante sottolineare questo contrasto in quanto esso consente di situare meglio l’amore nella sua realtà universale. Tutto il cristianesimo è incentrato sul dovere di amare, qualunque sia la situazione propria di ciascuno.

Se l’amore non può esprimersi legittimamente nella sua espressione genitale se non nel matrimonio - e tale è l’affermazione costante della Chiesa - le altre forme di espressione dovranno essere diversificate secondo le situazioni.

L’uomo è fatto per amare e per essere amato: tutto il nostro essere vi tende e desidera esprimerlo. L’espressione di questo amore sotto forma genitale - completa o incompleta - non è valida e vera se non nel contesto dell’amore coniugale. Ne parleremo più avanti. Al di fuori di questo quadro in cui essa è ricca di vitalità, essa impoverisce l’uomo e distrugge la sua capacità d’amare veramente. E questo è grave.

Una sana evoluzione dei costumi ha sbloccato certi tabù e ha reso più naturali e vere le relazioni tra uomini e donne. Tra un passato caratterizzato dal giansenismo e un presente in cui troppo spesso tutte le dighe sono rotte c’è una misura e un equilibrio da praticare. Ciò si potrà fare soltanto se gli atteggiamenti sono chiari e se si farà distinzione, senza equivoci e senza compromessi, tra amore e genitalità.

Salvaguardare l’amore

È di capitale importanza che la parola amore e la realtà che essa abbraccia siano salvaguardate nella loro purezza e nelle loro grandezze essenziali. I cristiani - in particolare le nostre famiglie cristiane - che fanno l’esperienza di un amore autentico, non devono tenere soltanto per se stessi il segreto di una gioia scoperta nella fedeltà alla legge di Dio, che è la legge stessa dell’amore.

Spetta a loro, a titolo speciale, reagire, mediante tutti i mezzi pubblici a loro disposizione, al fine di risanare un’atmosfera moralmente contaminata e di preservare, per il domani, le nuove generazioni. Ne va l’avvenire non solo delle coppie, ma della società in genere, che è dilaniata nelle sue basi, poiché il tessuto familiare si sfibra e diventa paludoso. Questo sforzo di raddrizzamento suppone che i cristiani prendano sempre più coscienza di tutto ciò che esige il loro cristianesimo e di quello che fa di un cristiano una creatura nuova, vivificata dal Cristo, redentore e salvatore degli uomini.

 

 

2 - LA NOVITÀ CRISTIANA

La morale cristiana riguardante la sfera sessuale non è che un’applicazione del comportamento morale cristiano, così come esso è fondato nella realtà battesimale, che deve distinguere per tutta la vita ogni cristiano. Diciamo subito cos’è questa novità cristiana.

La nostra adesione vitale a Cristo

A chi chiede quale sia l’originalità cristiana, non bisogna affrettarsi a rispondere citando principi morali dei quali il discepolo di Cristo avrebbe il monopolio, ma ricordando il rapporto del cristiano con Gesù Cristo, via , verità e vita. Talvolta i non-cristiani praticano meglio di noi il comandamento del Signore: "Amatevi gli uni gli altri".

Per affermare ciò che contraddistingue il tratto proprio di ciascun cristiano, nell’ordine dell’amore, bisogna leggere fino alla fine le parole di Gesù: "Amatevi... come io ho amato voi" (Gv 13,34). Gesù si offre come prototipo di amore. Il seguire questo modello dà a tutta la nostra esistenza una dimensione nuova che, riconosciuta nella sua esigenza, dovrebbe condurci a conversioni radicali.

Alla domanda: "Che cosa aggiunge in più l’essere cristiano?" si può rispondere: "In un certo qual modo, se si considerano le apparenze, non apporta forse nulla di più".

"Invece - è stato scritto giustamente - essere credenti cambia tutto. A prima vista queste due affermazioni sembrano contraddittorie. Ma non facciamo la stessa constatazione, per esempio, presso i fidanzati? Che cosa cambia per questo ragazzo il fatto di essere fidanzato? È diventato, per questo, più esperto nel suo mestiere? È diventato più intelligente? Apparentemente nessun cambiamento di tale ordine è intervenuto a causa del suo fidanzamento. E, tuttavia, essere fidanzato trasforma in profondità l’esistenza di questo ragazzo, perché l’amore l’ha sconvolto o piuttosto perché qualcuno, che egli ama e da cui è amato, è entrato nella sua vita. Questa scoperta è formidabile: cambia tutta la sua esistenza. È questa, pressappoco, l’esperienza che fa il cristiano credente. Che cosa cambia per me il fatto di essere cristiano? Apparentemente nulla. Sia io credente o incredulo, il mondo che mi circonda resterà sempre lo stesso. E, tuttavia, il credere in Gesù Cristo ha modificato tutta la mia vita. È stata una scoperta progressiva che Dio si interessa di me e che la mia esistenza è preziosa ai suoi occhi, poiché egli è venuto a condividere la nostra condizione umana" (G. Ponteville).

Un nuovo stile di vita

C’è dunque ragione di parlare di una vita nuova. Ciò implica necessariamente nuove esigenze, un invito a uno stile di vita e a un comportamento che corrispondano a questa nuova nascita (cfr. Ef 4,1). È impossibile esaurire in un insieme di regole tutto quello che comporta la morale cristiana. Questa morale è dinamica perché ci impegna sempre in nuovi compiti e ci pone davanti nuovi problemi. È l’amore di Gesù che ci spinge ad andare fino all’estremità della terra. Non si possono dedurre dal vangelo soluzioni "passepartout". Tuttavia, questa fede, questa conversione del cuore susciteranno un nuovo dinamismo morale e daranno a tutto il nostro agire una significazione d’altro ordine.

Il dinamismo dello Spirito, senza escludere minimamente i doni naturali, è sempre immanente nell’agire cristiano. L’arditezza di Pietro, il giorno di Pentecoste, la sapienza irresistibile del diacono Stefano, la gioia dei discepoli, sono dei comportamenti umani; ma sono pure azioni profonde dello Spirito. Alla luce della fede, questa simbiosi vitale diviene esperienza di vita, segno di una Presenza.

 

 

3 - LA CASTITÀ: OPERA DI DIO, OPERA DELL’UOMO

Lo stile di vita, che s’impone in tutti i campi nella logica della fede, si traduce, quando si tratta di sessualità, con la messa in opera di una virtù indispensabile in ogni stato di vita: la castità. La parola castità ha oggi una risonanza quasi arcaica; si esita a usarla, tanto è screditata. Tuttavia questa virtù ha un ruolo indispensabile oggi come ieri. Essa non è altro che il dominio di sé, che deve comandare l’istinto sessuale per metterlo al servizio dell’amore autentico e per integrarlo, al suo posto, nello sviluppo della persona umana. Il cristiano sa che questa integrazione è difficile da realizzarsi e che lo squilibrio che regna nella nostra natura ferita è particolarmente sensibile a questo livello. Già san Paolo si lamentava di questa tensione avvertita in se stesso, tra quello che desiderava fare e ciò che in lui vi si opponeva (cfr. Rm 7,14-25).

La castità è una virtù di equilibrio: essa è il frutto della grazia di Dio e dello sforzo continuo dell’uomo alle prese con la sua debolezza e fragilità. È una virtù progressiva: non si nasce casti, lo si diventa, non meno che non si nasce caritatevoli o giusti.

È un’opera di liberazione del meglio di se stessi al servizio dell’amore vero. È una virtù che viene fuori, come il fiore dallo stelo, dal nostro irradicamento battesimale in Cristo, mistero di morte e di vita, che fa di noi dei figli e delle figlie di Dio. È una risposta all’invito che già esprimeva papa san Leone Magno: "Cristiano, riconosci la tua dignità e vivi di conseguenza".

L’uomo ferito

La dottrina del peccato originale, che non possiamo negare, ci aiuta a comprendere l’esperienza che l’uomo fa tutti i giorni, in sé e attorno a sé, dell’anarchia interna degli istinti umani. Noi siamo, di fatto, in presenza di una natura ferita e sempre vulnerabile; il disordine nel mondo, frutto di questa anarchia, compare tutte le mattine sulle colonne dei nostri giornali. I nostri istinti naturali devono essere dominati e incanalati, siano essi degli istinti di violenza, di aggressività, di possesso, di ingordigia, ecc. Una educazione si impone: l’istinto sessuale, particolarmente tirannico, deve anch’esso essere educato, orientato, collocato nel suo posto, sotto pena di squilibrare l’uomo e di compromettere la sua capacità di amare.

L’uomo deve essere salvato da se stesso

Ma se il male è là, innegabile, se dobbiamo riconoscerci feriti e peccatori, dobbiamo parimenti prendere coscienza della grazia redentrice e salvatrice di Dio in Gesù Cristo.

La fede affina lo sguardo e lo aiuta a scoprire le tracce del male in noi. Chesterton ha detto un giorno, in quel suo modo paradossale, "che un santo è qualcuno che sa di essere peccatori". La Sacra Scrittura ci parla dello Spirito santo come di colui che rischiara le tenebre e ci aiuta a riconoscerle, a giudicarle e a superarle. Ci costa il confessare che siamo deboli. Ma la medesima fede ci svela l’orizzonte di tenerezza e di grazia del cuore di Dio "infinitamente più grande del nostro". San Giovanni nella sua prima lettera invitava i cristiani a riconoscere davanti a Dio che "qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore, e conosce tutte le cose" (1Gv 3, 19-20). La fede ci incoraggia ad accettarci come siamo, con umiltà e pazienza e che il suo amore non solo cancella il passato, ma ci guarisce e ci ricrea. Tutte le pagine del vangelo proclamano che Gesù è venuto come colui che guarisce i malati e aiuta i feriti della vita.

Se ne dubitassimo, basterebbe il Cristo in croce per comprendere l’abisso del suo amore redentore in azione per tutti i tempi.

Gesù Salvatore

Viviamo in un mondo in cui il termine Gesù Salvatore diventa sempre meno corrente. Per sapersi e dirsi salvati bisogna sentirsi salvati da qualche cosa. Gesù è venuto a salvarci da noi stessi, dal peccato, dalla morte e dalle potenze del male. Tutto ciò è privo di senso per chi proclama la sufficienza dell’uomo e l’inesistenza del peccato, e per chi relega le forze nascoste del male tra i miti.

Gesù, il cui nome significa "Salvatore", non può essere riconosciuto come tale se si ignora da che cosa ci ha salvati.

Ho sentito da qualcuno, che si diceva cristiano, esclamare: "Io rifiuto di essere salvato, voglio essere liberato". Questo tale dimenticava che salvezza e liberazione sono strettamente unite.

Salvando l’uomo, attraverso la sua vita, morte e risurrezione, Gesù ha gettato la base di tutte le liberazioni necessarie. La libertà cristiana che trionfa su tutti gli asservimenti sessuali ci è stata concessa anch’essa a grande prezzo. Bisogna dunque che noi entriamo in questa corrente di grazia che ci libera perfino da noi stessi, ci riequilibra e, attraverso la Chiesa, continua a inserire nelle nostre vite la potenza rinnovatrice di Gesù Salvatore.

Alle sorgenti della vita

Se Gesù resta sorgente di vita e di risurrezione, sta a noi rimanere in stretta comunione con lui.

Il cristiano deve accettare umilmente le leggi dell’ascesi cristiana, e se la Chiesa oggi non ne fissa più le stesse modalità, spetta a ciascuno di introdurle nella propria vita secondo il proprio bisogno e le proprie circostanze. Non si fanno dei cristiani praticando sconti e ribassi e non si fanno neppure isolatamente. Ogni cristiano ha bisogno dei suoi fratelli, perché non si vive da soli il cristianesimo.

Per rispondere alle esigenze di Dio nel cammino delicato del dominio di sé, ciascuno ha bisogno di un altro o di un gruppo che possa aiutarlo e sostenerlo nel suo sforzo di progresso morale. Bisogna rallegrarsi nel vedere moltiplicarsi gruppi che si aiutano a camminare insieme verso una preghiera più autentica, come pure verso un arricchimento vicendevole nella vita cristiana, coniugale e familiare.

Rottura dell’Alleanza e riconciliazione

Un cristiano, sotto pena di anemia spirituale, deve nutrirsi regolarmente dell’eucaristia, come pure della Sacra Scrittura, che resta Parola di vita, oggi come ieri. Deve purificarsi e lasciarsi guarire dal sacramento della riconciliazione. In questo campo bisogna fare un vasto sforzo di rinnovamento, che deve andare di pari passo con una coscienza nuova di ciò che è il peccato. Questo, il peccato, non si comprende, nella sua verità, se non in rapporto con l’Alleanza nella quale Dio vuol vederci impegnati. Un documento dell’esperienza belga situava molto esattamente il peccato in questa prospettiva: "Se ogni peccato è sempre fondamentalmente una rottura dell’Alleanza, un rifiuto d’amore, esso si realizza concretamente in comportamenti differenziati, in opposizione alle diverse esigenze della comunione con Dio e con i fratelli. Questa opposizione, lo si comprende facilmente, varia di gravità secondo l’importanza dei valori in causa e secondo che il rifiuto è più o meno radicale... Non c’è dunque peccato in senso stretto se non nelle posizioni concrete e "databili" per il male. Non si può ridurre la colpa alla sola disposizione globale e di fondo, né concepirla come una sorta di colore di fondo sulla tela, senza il puntinismo dei peccati concreti. Nella valutazione della gravità dei peccati bisogna riconoscere all’uomo questo terribile potere di disprezzare l’amore del suo Creatore, trasgredendo scientemente e deliberatamente in materia grave le esigenze di questo amore. Un tale atteggiamento non è sicuramente cosa banale e anonima. Pretendere che questo atteggiamento sia impossibile equivarrebbe, in definitiva, a non prendere sul serio né Dio né l’uomo". Lo sforzo per la padronanza di sé in materia sessuale come pure le nostre mancanze lungo il cammino vanno collocati in questa prospettiva. Quello che è in causa, in definitiva, è un’opzione più o meno deliberata e cosciente per o contro l’amore autentico, per o contro la nostra alleanza vissuta con Dio.

 

 

4 - LA CASTITÀ IN CONTESTO CONIUGALE

Equilibrio

Vorrei ora mostrare come il dovere universale della castità si applichi nei diversi contesti di vita che ne differenziano l’applicazione. E, anzitutto, nel contesto coniugale. L’amore coniugale ha molteplici componenti da armonizzare e da integrare, senza indebita sopravvalutazione di una dimensione a detrimento di un’altra. Si è a lungo misconosciuta e svalutata la dimensione sessuale dell’esistenza umana e la sua importanza nella crescita dell’amore. La sessualità, intesa in senso largo, è ciò che in ogni uomo e in ogni donna spinge ad entrare in relazione amorosa con un altro. Prima di essere una capacità organica, la sessualità è "potere di relazione".

Questa dimensione della personalità non si dispiega veramente se non grazie a qualità umane di gran pregio: comprensione mutua, apertura, calore di accoglienza, di compassione, di mutuo sostegno. Non riconoscere questo fatto significherebbe deludere la speranza del Creatore nei confronti dell’uomo

Sembra che oggi ci sia una tendenza a sopravvalutare la dimensione fisica della sessualità, a isolarla dal suo contesto umano globale e a darle una priorità che non è la sua.

Se così fosse, se ne falserebbe il significato, perché l’amore vero tra sposi implica una relazione mutua vera e inglobante, una comunione d’anima, di spirito, di cuore e di corpo. L’amore vero vuole una partecipazione e una comunione di quanto vi è di più profondo nella vita della coppia. Bisogna continuamente combattere il pericolo di ripiegamento su di sé, della coesistenza di due destini che camminano paralleli senza un vero incontro. Gli sposi hanno bisogno di passare dalla coesistenza alla comunione per rinnovare il loro amore.

L’unione fisica non riceve tutta la sua significazione se non diviene espressione della comunione spirituale dei coniugi.

Niente è più fragile dell’armonia corporale, se non è sostenuta dalle tre dimensioni dell’amore. La percentuale dei matrimoni infranti dal divorzio indica sufficientemente che il pericolo è tutt’altro che immaginario.

È necessario dunque ricollocare sempre meglio l’aspetto fisico nel quadro di un’unione, in cui ciascuna persona sia riconosciuta e rispettata in tutte le sue componenti.

Liberazione e creatività

Per gli sposi la castità è una virtù che libera la persona umana e la valorizza nel suo intimo essere. La sessualità e le sue espressioni fisiche e genitali - bisogna distinguere questi due aspetti - sono un bene per l’uomo e per la donna, in quanto sono al servizio della vita e dell’amore. Tale è la dottrina della Chiesa. Come ricorda la "Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede su alcune questioni di etica sessuale" (29 dicembre 1975), le relazioni sessuali propriamente dette trovano, per il cristiano, la loro vera autenticità umana nel quadro sacramentale del matrimonio religioso. Vissute nel contesto che è loro proprio, esse sono per la coppia una gioia e una libertà che l’arricchiscono.

Sintesi di vita

La comunità coniugale è chiamata a proporre al mondo un’immagine vivente della tenerezza e della creatività divine. Perché ogni autentico amore è "diffusivo di sé", creatore di novità. La generazione e l’educazione dei figli è il compimento privilegiato di questa creatività. Là dove questa possibilità manca, la creatività coniugale può trovare altre forme di espressione, rivelatrici anch’esse della prodigiosa fecondità dell’amore divino.

Rivolgendosi alle coppie, Paolo VI ha mirabilmente sintetizzato il senso ultimo del mutuo dono realizzato dagli sposi, in questi termini: "Il dono non è una fusione. Ciascuna personalità rimane distinta e, lungi dal dissolversi nel mutuo dono, si afferma e si affina, cresce durante tutta la vita coniugale, secondo questa grande legge dell’amore: darsi l’un l’altro per darsi insieme.

L’amore è, di fatto, il cemento che dà la sua solidità a questa comunità di vita e lo slancio che la trasporta verso una pienezza sempre più perfetta. Tutto l’essere vi partecipa nelle profondità del suo mistero personale e delle sue componenti affettive, sensibili, carnali come pure spirituali, fino a costituire sempre meglio questa immagine di Dio, che la coppia ha la missione di incarnare sul filo dei giorni, tessendola con le sue gioie, come con le sue prove, perché è vero che l’amore è più dell’amore. Non c’è alcun amore coniugale che non sia, nella sua esaltazione, slancio verso l’infinito e che non si voglia, nel suo slancio, totale, fedele, esclusivo e fecondo (Humanae vitae, n.9). È in questa prospettiva che il desiderio trova la sua piena significazione. Mezzo di espressione come di conoscenza e di comunione, l’atto coniugale sostenta, fortifica l’amore e la sua fecondità, conduce la coppia alla sua piena espansione: diviene, ad immagine di Dio, sorgente di vita. Il cristiano lo sa: l’amore umano è buono per la sua origine e se è, come tutto ciò che è nell’uomo, ferito e deformato dal peccato, trova in Cristo la sua salvezza e la sua redenzione. Del resto, non è la lezione di venti secoli di storia cristiana? Quante coppie hanno trovato nella loro vita coniugale il cammino della santità in questa comunità di vita che è la sola ad essere fondata su un sacramento?" (Insegnamenti di Paolo VI p. 427. Allocuzione del 4 maggio 1970).

 

 

5 - LA CASTITÀ IN CONTESTO PRECONIUGALE

La dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede, già sopra menzionata, ha attirato l’attenzione sul fatto che le relazioni coniugali devono situarsi nel quadro del matrimonio sacramentale. Questo richiamo della dottrina classica va contro i costumi che, purtroppo, stanno degradandosi. Preoccupata di non permettere che si deteriorino preziose ricchezze, la Chiesa non può sottrarsi alla sua missione di ribadire agli uomini certi principi fondamentali.

La sessualità al servizio dell’amore

Diceva il cardinale Marty, arcivescovo di Parigi: "La sessualità umana è al servizio dell’amore: essa è un linguaggio tra due persone; è un legame di comunicazione e di comunione... I gesti cardinali dell’amore hanno un senso; sono carichi di impegno; sono portatori di un avvenire comune; richiedono un’esistenza di rispetto, di fedeltà e di gioia; esprimono l’accoglimento di una fecondità; sono aperti alla vita donata; partecipano all’opera creatrice; sono un’alta espressione della solidarietà che ognuno porta in sé per l’avvenire della comunità umana. Per questo tali gesti non hanno il loro vero senso e la loro rettitudine morale se non nel matrimonio legittimo" (La documentation catholique, 4 aprile 1976, p. 334).

Sessualità e comunità

La sessualità umana deve sempre viversi in un contesto umano ed ecclesiale in costruzione. Non può ignorare questo contesto, sotto pena di affondare nell’individualismo e, di conseguenza, di compromettere la sanità del corpo sociale stesso.

Si accenna qui al ruolo delle istituzioni (il matrimonio come gesto socializzato), come supporti e garanti dello sviluppo sia personale che collettivo.

Qui si apre un largo campo di riflessione che si applica oggi a precisare i legami tra la sessualità e "il politico". Bisognerebbe evitare che il campo della sessualità cada in quel liberalismo cieco di cui si conoscono le tragiche conseguenze a livello sia economico che sociale. Sarebbe per lo meno paradossale che la sessualità - un campo in cui la persona è così profondamente impegnata - sia presentata come il rifugio dell’individualismo. Come se l’uomo non fosse essere sociale se non a intermittenza e secondo le proprie decisioni.

Una dichiarazione dell’episcopato tedesco

In una importante dichiarazione dell’episcopato tedesco su "La sessualità umana", i vescovi scrivevano: "Numerosi giovani credono che fidanzamenti o precisi impegni autorizzino i rapporti sessuali prima del matrimonio. Nella dottrina della Chiesa, per la quale l’unione sessuale dell’uomo e della donna è legata al matrimonio, essi vedono sia il vestigio sorpassato di una paura del sesso, sia l’oppressione della libertà umana in una sfera intima. Per le relazioni sessuali intime, che essi praticano come se fossero del tutto normali, essi si appellano alla buona coscienza. Ma perché ci sia buona coscienza, occorre anche una informazione autentica. Una buona coscienza non potrebbe accontentarsi del fatto che un numero più o meno grande di altre persone, che si trovano nella stessa situazione, agiscono allo stesso modo. Significherebbe mettersi troppo facilmente a rimorchio di tutti. Qual è dunque la posizione giusta? Cos’è in armonia con la situazione della loro vita? Ammettiamo, certamente, che un tal modo di agire si distingua profondamente dalle relazioni sessuali impersonali e sbrigative, forma caratteristica della licenziosità. Ciò non toglie che gravi motivi si oppongano a tale concezione. Come mostra l’esperienza quotidiana, molti fidanzamenti e promesse d’amore non terminano nel matrimonio. Praticando l’unione sessuale, gli amanti pongono il segno del matrimonio senza il matrimonio. In più, contrariamente a quanto si sente dire senza posa, non è possibile sperimentare un matrimonio futuro in relazioni sessuali pre-coniugali. Il dono sessuale personale può essere soltanto completo, non può essere messo alla prova. Infine, in questa unione sessuale anticipata, si dimentica che l’amore di due esseri umani, per essere definitivamente valido, deve essere concluso davanti a Dio e davanti agli uomini. Precisamente, in questo campo molti vogliono godere di una felicità personale, senza tener conto della forma di vita matrimoniale che è determinante per la Chiesa e per la società. Il matrimonio è un sacramento che eleva il legame d’amore tra due essere umani per farne l’immagine visibile del legame di Cristo con la sua Chiesa. Là si trova espresso un mistero di fede che non possiamo spiegare con qualche parola. Il dono sessuale è incluso nel segno sacramentale. Domandiamo ai giovani che stanno per prendere questa decisione di riflettere onestamente su queste ragioni, di discuterne lealmente e di non edulcorare le esigenze del vangelo".

Una rete oggettiva

Non possiamo che riprendere questo invito pressante e ripetere che per noi anche l’aspirazione soggettiva ad entrare in una relazione interpersonale con altri non basta a garantire la rettitudine morale dell’esercizio genitale della sessualità. Non siamo noi che abbiamo inventato l’amore; esso ha il suo ordine e le sue leggi.

Nessuna delle dimensioni dell’amore umano sfugge all’esigenza di essere confrontata con i principi che le danno il loro senso. Lungi dall’essere un semplice strumento di piacere, il corpo umano è "luogo" di espressione della persona e, per il cristiano, "tempio dello Spirito" (1Cor 6,19).

Siamo tutti impegnati in una rete oggettiva di rapporti, di cui dobbiamo rispettare il senso e le esigenze. Non si intaccano impunemente i grandi simboli fondamentali che il Cristo ha elevato alla dignità di "sacramenti", cioè di segni efficaci dell’incontro di Dio e dell’uomo. Il dono mutuo dei corpi nell’amplesso coniugale rientra in questi.

Progressione e integrazione

Se l’amore coniugale è un amore reciproco che mira alla comunione totale in tutte le sue dimensioni, è importante - se si vuole educare all’amore - che i valori sessuali siano integrati, progressivamente, al loro giusto posto.

È necessario che i fidanzati siano coscienti che la progressione sessuale deve essere retta e sostenuta da quella di tutte le altre che fanno crescere la persona.

No, il matrimonio - istituzione pubblica che dà la sua dimensione comunitaria all’impegno dei fidanzati - non è una pura formalità; non è accidentale per l’uomo essere sociale.

Il matrimonio è l’affermazione pubblica della reciproca e completa assunzione di corresponsabilità da parte dei fidanzati. Esso dà alla comunione delle persone che si impegnano il suo riconoscimeto, la sua conferma, il suo sostegno.

La questione da porsi non sarà mai: fin dove si può giungere senza infrangere una legge? Ciò significherebbe di nuovo ridurre l’incontro sessuale ad una attività retta da leggi arbitrarie dipendenti dalle culture e dall’ambiente del tempo. Non si tratta di ridurre la sfera di ciò che è permesso, ma di ampliare il rispetto per la crescita dell’amore autentico e della qualità di vita. Tale è l’esigenza o, per meglio dire, la vocazione cristiana in materia di sessualità che la Congregazione per la dottrina della fede ha creduto opportuno di ribadire con chiarezza: "L’unione carnale non è legittima se tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita" (n. 7).

Un ideale liberatore

"In mezzo a una società che troppo spesso banalizza e commercializza il sesso, la Chiesa vuol difendere l’uomo e onorare la dimensione sessuale della sua esistenza, rifiutando che il dono dei corpi sia dissociato dall’impegno delle libertà. Essa prende seriamente la responsabilità sessuale dell’uomo contemporaneo ripetendogli che l’ordine morale della sessualità comporta per la vita umana dei valori molto alti. Essa contesta profeticamente le ossessioni di una società permissiva, ricordando che la castità è una mediazione necessaria di ogni amore" (n. 11), che "essa onora l’essere umano e lo rende capace di un amore vero, disinteressato, generoso e rispettoso degli altri" (n. 12).

Occorre ripeterlo: la virtù della castità, che non si riduce per nulla al "buon uso" del nostro corpo, non è sorpassata per nessuno. Essa rischia tuttavia di essere gravemente compromessa nel clima culturale attuale.

L’educazione a una sana padronanza di sé rimane imperativa; essa non è, per quanto se ne pensi, una diminuzione dell’uomo: è condizione essenziale del suo sviluppo. Vissuta nell’amore, porta in sé una gioia molto sana e profonda.

I giovani fidanzati hanno il diritto che si proponga ad essi chiaramente (tenendo conto delle conoscenze recentemente acquisite in materia di sessualità) l’ideale della castità cristiana. La verità, ha detto il Signore, è per se stessa liberatrice. Abbiamo bisogno, per vivere, più di verità che di pane.

 

 

6 - LA CASTITÀ IN CONTESTO NON CONIUGALE

Esperienze sessuali dei giovani

La tendenza attuale a confondere amore e sessualità è uno dei gravi pericoli morali che minaccia la società, particolarmente i giovani, e dunque l’avvenire. Non si compromette impunemente e prematuramente l’atto coniugale senza recare danno a valori profondamente rispettabili: simili esperienze rischiano di minare profondamente le riserve di idealità, di generosità e di dedizione dei giovani. Un incontro sessuale, che non è vissuto nel contesto di un impegno totale e di un amore fedele, rassomiglia, a prima vista, a un atto d’amore, ma, di fatto, ne differisce tanto quanto un fiore strappato differisce da un fiore vivente: il fiore strappato può sembrare bello e pieno di vita, ma è condannato, si voglia o no, ad appassire ben presto.

Ama e fa’ ciò che vuoi

Qualcuno si appella a questa bellissima frase di sant’Agostino per illudersi di avere il lasciapassare per tutto ciò che gli fa comodo.

Rimessa nel suo contesto questa espressione non vuol dire che qualsiasi amore autorizza qualsiasi comportamento. Essa indica, al contrario, che la creatività cristiana non può radicarsi se non in un amore veramente evangelico. La parola di sant’Agostino incita a verificare la qualità del nostro amore e ad assicurarci se ciò che noi vogliamo è veramente l’espressione di questo dinamismo fondamentale.

Non è la libertà che noi troviamo al termine di queste esperienze, ma l’asservimento, la regressione dello slancio vitale e delle sue forze per l’avvenire. Tutto ciò che è ricerca del piacere genitale, al di fuori del piano e della volontà di Dio per l’uomo, genera schiavitù: questa ricerca non è liberatrice se non si situa nel quadro che Dio ha voluto per essa.

Masturbazione e responsabilità

Al di fuori delle "esperienze" di cui abbiamo parlato, c’è un’altra sfera in cui la padronanza sulla sessualità deve esercitarsi: quella della pratica della masturbazione. Sia che si tratti di masturbazione individuale o reciproca, la Dichiarazione della sacra Congregazione per la dottrina della fede ricorda il carattere oggettivamente disordinato della ricerca del piacere genitale che si pone fuori dal contesto coniugale. Nello stesso tempo, aggiunge considerazioni tali da permettere, sul piano delle persone, una valutazione sfumata della loro responsabilità. "La psicologia moderna offre parecchi dati validi e utili per formulare un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orientare l’azione pastorale. Essa aiuta a vedere come l’immaturità dell’adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l’abitudine contratta possono influire sul comportamento, attenuando il carattere deliberato dell’atto e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave" (n. 9).

E il testo continua enunziando un principio che i consiglieri morali sperimentati conoscono bene, ma che ci compiacciamo di veder ratificare così chiaramente: "Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà preso in considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare il precetto particolare della castità" (n.9).

La Dichiarazione richiama ugualmente la distinzione tradizionale tra il peccato e il peccatore: "Nelle colpe di ordine sessuale, visto il loro genere e le loro cause, avviene più facilmente che non sia pienamente dato un libero consenso, e questo suggerisce di essere prudenti e cauti nel dare un giudizio circa la responsabilità del soggetto. Qui, in particolare, è il caso di richiamare le parole della Scrittura: "L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore" (n. 10).

Educazione liberatrice

Il cardinale Suenens, nel suo libro "Amore e padronanza di sé", parlando della masturbazione nella sua forma ossessionale, dice che c’è probabilmente l’indicazione di un disordine che ha radici più profonde e che esige un esame più approfondito. Scrive: "Spesso ‘un nodo psicologico’ crea una tensione sessuale, da cui la vittima si libera con la masturbazione. Sciogliendo questo nodo di ordine affettivo - una frustrazione d’amore, un isolamento - si riuscirà molto di frequente a liberare l’adolescente da se stesso e dall’infantilismo che la sua pratica rivela. Un’educazione positiva, aperta largamente verso gli altri, animata dalla carità e dal suo senso sociale, dall’allenamento alla dedizione, faciliterà questa liberazione e disporrà l’anima nel modo migliore a beneficiare pienamente del soccorso della preghiera e dei sacramenti, al quale ogni cristiano deve fare appello".

Grandezza di una vita

Ci sono numerose persone nel mondo che per motivi diversi non vivono nello stato coniugale e non rientrano pertanto nelle categorie di cui abbiamo finora parlato. È in questo contesto più largo che bisogna collocare anche quelli e quelle che non sono sposati a causa del loro orientamento omosessuale. A tutte le persone non sposate, per qualsiasi motivo, occorre dire che ogni vita può rispondere pienamente alla vocazione cristiana d’amare, obbligatoria per tutti, senza che la dimensione genitale vi sia presente.

È falso credere che l’amore sia legato di per sé all’esercizio della genitalità e che la sua assenza sia una diminuzione e un impoverimento. L’amore autentico può dispiegarsi magnificamente e in tutta pienezza nelle vite umane che accettano di corrispondere alla loro vocazione, così come la si deduce dal loro stato di vita. Ogni vita è grande quando il pensiero dominante è per gli altri, quando si ama. Non deve succedere che un senso di frustrazione e di vita fallita venga a infrangere lo slancio di un ideale di servizio e d’amore.

La storia e la vita quotidiana mostrano innumerevoli esempi di vite animate da grande amore, per quanto ogni piacere sessuale-genitale ne sia escluso. L’esempio stesso di Gesù, che è l’incarnazione dell’amore, ne è la più luminosa manifestazione.

Vogliamo parlare ora di una rinuncia speciale dovuta ad un impegno religioso volontario: il carisma del celibato. Vogliamo sottolinearne contemporaneamente la grandezza e le esigenze.

Il carisma del celibato

Non sarei completo se, parlando di sessualità, non esprimessi il pensiero della Chiesa su quegli uomini e donne che per rispondere all’appello di Dio e per una più grande libertà nel dono di se stessi hanno rinunciato alla vita matrimoniale. Il celibato volontario, in vista di consacrarsi esclusivamente corpo e anima al Signore e al suo servizio per il regno di Dio, non si comprende se non riferendosi al misterioso invito del Signore che ha detto:" Chi ha orecchi, intenda" (Mt 11,15).

All’origine di una simile opzione c’è sempre, in una forma o in un’altra, un dialogo interiore, simile a quello che il Maestro ebbe un giorno con Pietro e Andrea, ai quali disse: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini...". La risposta di Pietro e di Andrea è senz’altro positiva: "Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono" (Mt 4,19-20). Questa risposta non giudica nessun’altra scelta: essa basta a se stessa, perché Dio le basta.

Una scommessa per Dio

Come ogni altra scelta di vita, quella del celibato consacrato suppone che sia riconosciuta e accettata la capacità dell’uomo di impegnare il proprio avvenire. Indubbiamente ci sono dei rischi in ogni promessa e nella fedeltà che essa richiede. Ma, non è forse una delle grandezze dell’uomo quella di voler sfidare i rischi inserendoli nella trama di un progetto perseverante? L’opzione per il celibato consacrato rappresenta una scommessa magnifica. Vissuta nella solidarietà ecclesiale, essa dovrebbe permettere di gridare al mondo la priorità di Dio, l’importanza del Regno che viene e la fecondità di certe rinunce.

Il celibato consacrato è posto in discussione solamente da coloro che non hanno potuto, o voluto, coglierne l’ispirazione profonda. Dobbiamo porlo nella sua vera luce, ringraziare il Signore che suscita simili vocazioni per la sua Chiesa e pregare con perseveranza perché numerosi giovani ascoltino l’appello del Maestro e vi rispondano generosamente. Il celibato contiene una ricchezza di grazia che la Chiesa non lascerà mai perdere, sapendo per esperienza che noi portiamo i nostri tesori in vasi fragili (cfr. 2Cor 4,7).

Valore e salvaguardia

Questo tesoro è troppo prezioso perché non siamo particolarmente attenti a salguardarne la fedeltà. Sapere che lo portiamo in vasi fragili significa essere realisti e non comportarsi come se il paradiso terrestre fosse sempre aperto e la debolezza umana inesistente. La fedeltà al celibato consacrato - come del resto la fedeltà all’ideale cristiano della castità in ogni stato di vita - esige il ricorso costante alla grazia e la vigilanza su di sé con piena lucidità.

Il nostro tempo ha reso le relazioni tra uomini e donne più semplici e più normali. Ciò comporta dei vantaggi, ma anche dei rischi: facilita i comportamenti, ma richiede anche una giusta misura di riservatezza.

La vocazione al celibato per amore del Regno implica un dovere di fedeltà senza divisioni, che ha la propria delicatezza e il proprio rigore. Per quanto non si possano tracciare regole rigide, bisogna in questo campo essere radicali e non accettare compromessi. È necessario che la purità d’intenzione si rifletta nella trasparenza di ogni gesto e ispiri la prudenza che è raccomandata e che non si può trascurare impunemente.

Sopravvalutare la propria capacità di fedeltà a Dio e ai propri impegni, lasciarsi superare dalla propria sensibilità o da quella degli altri, permettersi certe situazioni di familiarità, significa mettersi in situazioni false che nuocciono alla vita spirituale e conducono, se non si fa attenzione, a defezioni dolorose per tutta la comunità cristiana.

Il celibato per amore del Regno non acquista tutto il suo significato se non a condizione di essere pienamente assunto e accettato in tutta la sua realtà da colui che ne vuole essere il testimone.

Il celibato sacerdotale, grazia per le famiglie

Il prete che vive lealmente e gioiosamente il suo celibato sacerdotale ha una grazia e una libertà unica per aiutare le coppie a costruire il loro amore e a farlo sviluppare nella linea del vangelo. Le famiglie che lo accolgono e che egli anima spiritualmente sono per lui un sostegno, mostrandogli, mediante la loro stessa apertura al suo sacerdozio, quanto esse abbiano bisogno della Chiesa, sacramento di Gesù Cristo, e quanto il suo sacrificio personale sia prezioso e fecondo per tutto il popolo di Dio. La gioia e la pace che egli suscita, consolida e aiuta a ristabilire, gli fa toccare con mano la fecondità spirituale del suo ministero.

Egli sperimenta, e con lui le famiglie, quanto i sacramenti e i carismi vissuti nella Chiesa siano complementari e concorrano a edificare il Corpo del Cristo e a riunire nell’unità il popolo di Dio.

 

 

CONCLUSIONE

Al termine di queste pagine, vorrei indirizzarvi alcuni auguri.

 

Nei confronti di Dio

Il primo è di lasciarvi interpellare dalla parola di Dio, trasmessa dalla tradizione vivente, e di non mettervi in stato di opposizione irritata, ma di ascolto filiale nei confronti dello Spirito santo che anima la Chiesa.

Se vogliamo vivere la vita cristiana e conoscerne il prezzo e la gioia, dobbiamo lasciare che lo Spirito santo dispieghi in noi tutte le sue virtualità, tutte le sue ricchezze, tutti i suoi frutti.

Occorre che ci lasciamo ispirare e condurre dalle parole di san Paolo: "Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto... La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,2.9-10).

Una vita cristiana che si lascia guidare in tal modo dallo Spirito del Signore gusterà i frutti promessi dalla sua presenza. Questi frutti da cui si conosce l’albero, li enumera san Paolo. Si chiamano: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22).

Accogliendo con tutte le sue esigenze "l’amore che lo Spirito riversa nei nostri cuori", noi riceveremo una "forza d’amare" capace di trasformare e di vivificare tutte le dimensioni dell’esistenza umana (cfr. Rm 5,5). Questa accoglienza dello Spirito santo nessuno l’ha vissuta più profondamente di Maria, che "lo Spirito santo ha coperto con la sua ombra" il giorno dell’Annunciazione come il mattino della Pentecoste. Maria si offre a lui, in uno slancio di disponibilità e di adesione totale, corpo e anima. L’accoglimento della sua maternità spirituale nei nostri confronti resta, anche per la nostra generazione, un segreto di purezza, di freschezza, di giovinezza. Con la sua discreta e penetrante presenza essa dissipa le tenebre in noi e attorno a noi.

 

Nei confronti di noi stessi e degli altri

Il secondo augurio è un invito ad accettare umilmente la nostra condizione umana, fatta di buona volontà e di debolezza, di coraggio e di stanchezza, e di accettare, in tutta verità, che il Signore sia anche per noi Salvatore e Redentore.

Il vangelo è il lieto annuncio della verità, della grazia e del perdono.

Siano o no le nostre colpe oggettivamente gravi, dobbiamo rileggere la storia del figlio prodigo (Lc 15) non per seguirne le peripezie, ma per intravedere prima di tutto quell’abisso di premura e di bontà che caratterizza il padre. Ciò che gli interessa non è anzitutto la confessione delle colpe di suo figlio: l’aveva già perdonato in anticipo. Il padre è più commosso del figlio nella gioia della riconciliazione e della festa.

Dobbiamo accettare umilmente di lasciarci guarire da Gesù. Il vangelo ce lo mostra in tanti luoghi mentre guarisce coloro che gli si avvicinano con fede. "Una forza usciva da lui" per sanare ogni languore, ogni infermità e ogni malattia. Questa forza resta sempre operante in mezzo a noi. Comunicare con Gesù nell’eucaristia significa accogliere colui che è la risurrezione e la vita per l’anima e per il corpo. Comunicare con lui significa ricevere già il pegno e l’anticipazione di ciò che attendiamo nella futura trasfigurazione dell’uomo totale.

 

In unione con i nostri fratelli

Dobbiamo anche accettare, umilmente, che non possiamo vivere il cristianesimo da soli e che abbiamo bisogno dei nostri fratelli che camminano con noi sulla stessa strada. Nel combattimento interiore che si svolge in ogni uomo per crescere e per restare fedele ai propri impegni più sacri, egli deve poter trovare un appoggio sui suoi fratelli.

Il "guai a chi è solo" (Qo 4,10) della Sacra Scrittura è particolarmente vero in questa lotta per mantenere o sviluppare la padronanza di sé.

Sappiamo che Dio, il quale veglia su di noi come un Padre sui suoi figli, metterà sulla strada di ciascuno la persona o il gruppo di persone che potrà dire a suo nome la parola necessaria e salvatrice. "Il fratello aiutato dal fratello è una roccaforte" ci dice la Scrittura. Quanti drammi avrebbero potuto essere evitati se nell’ora dei conflitti interiori e delle tentazioni la parola di un consigliere, di un amico, di un gruppo fosse stata detta per tempo e ascoltata con buone disposizioni. La fiducia e lo scambio aiutano a veder chiaro in sé, a esorcizzare le sirene, a toglierci i fumi e a rimetterci con i piedi per terra. Tutti siamo corresponsabili nei confronti dei nostri fratelli: stiamo attenti ai peccati di omissione ogni qualvolta non li correggiamo fraternamente o li perdiamo per strada.

 

Nei confronti del mondo

Infine, l’ultimo augurio vorrebbe essere un invito a tutti per aiutare a salvare l’amore autentico dalle sue contraffazioni, dalla minaccia mortale che incombe su questo valore sacro per eccellenza.

 

Il coraggio della contestazione

Bisogna che il messaggio fondamentale della Dichiarazione, più volte citata in questo scritto, sia ascoltato e applicato. Io sottoscrivo pienamente le parole del cardinale Marty che vanno direttamente all’essenziale: "Non prendiamo a pretesto i limiti di un documento per soffocare la vera questione che esso pone: lasceremo che la sessualità umana - dopo l’economia - sprofondi in un liberalismo immorale e nella totale irresponsabilità? La nostra società sarà ancora capace domani di vivere l’amore? Come mai essa giunge ad esprimere se non ciò che vi è di oscuro, di ambiguo, di brutale, di venale? L’amore è più grande. E le nuove generazioni non devono avere che un desiderio: salvarlo dall’insignificanza. Sì, bisogna salvare l’amore. I giovani, forse inconsapevolmente, hanno timore di fronte a una vita senza amore, di fronte a una rottura drammatica tra la sessualità, l’amore, il matrimonio e la prole. Essi accusano gli adulti di aver rinunciato al loro dovere perché non hanno insegnato loro ad amare. Da parte mia, mi appello all’esperienza di numerose famiglie. Sì, sono numerose quelle che vivono l’amore. Esso è esigente. È sacro. Trova la sua gioia nella verità (cfr. 1Cor 13,6). Queste famiglie prendano la parola e la proclamino con forza" (La documentation catholique, 4 aprile 1976, pag. 335).

 

Restaurare l’amore autentico

Il cristiano, per vocazione, è fermento nella pasta. Bisogna che noi, non soltanto viviamo le esigenze dell’amore, ma che aiutiamo a restaurare l’amore autentico nel mondo. L’avvilimento e la dissacrazione dell’amore sono due delle forme in cui si manifesta più sensibilmente (insieme con l’odio, la violenza e la guerra) l’azione di quelle potenze misteriose del male e del principe della menzogna: il diavolo.

Le famiglie cristiane che vivono le esigenze della loro fede e del loro amore hanno il dovere di manifestarlo in maniera del tutto speciale, in privato e in pubblico, e di cercare mediante atti concreti e concertati come reagire contro la degradazione dei costumi. Abbiamo il coraggio di andare contro corrente e di combattere tutto ciò che avvilisce l’amore: tutte le forme di pornografia e di oscenità.

Difendiamo il valore della vita nascente fin dalla sua origine. Difendiamo i valori morali che stanno alla base di ogni civiltà. Spetta alle famiglie cristiane ricordare al mondo che il Signore ha detto il vero quando affermava: "Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". Promessa che non esclude la sofferenza, ma che sbocca in una pace e in una serenità che il mondo non conosce. Proclamiamo il vangelo dell’amore vero! E non sorprendiamoci se questo cozza, oggi come ieri, contro le opinioni o i comportamenti contrari. In quella "società permissiva e decadente" che era l’impero romano fu specialmente nel campo della castità che si manifestò il non-conformismo delle prime comunità cristiane. Riconosciamo francamente che la sessualità è uno di quei campi della vita morale in cui il vangelo è al tempo stesso più preciso, più esigente e più misericordioso.

Possano i cristiani scoprire sempre meglio che "la legge del Signore è gioia per il cuore luce per gli occhi". Questa parola del Signore rimane vera, oggi come ieri. Con il salmista possiamo e dobbiamo ripeterla con riconoscenza: "La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi" (Sal 19,8-9).

Termino con queste parole della Sacra Scrittura, domandando al Signore che ci benedica e che ci faccia capire veramente, profondamente e praticamente, che la sua legge rimane per sempre (per tutti e per ciascuno) sorgente di vita e di speranza.