I GENITORI: MESSAGGERI DI DIO NELLA FAMIGLIA


(Pedron Lino)

 

Introduzione

Chi sono, cosa devono fare, come devono agire i genitori di fronte ai figli? I genitori sono i messaggeri di Dio.

Questa qualifica l’hanno ricevuta in dono nel giorno del matrimonio. Quindi è rivolgendosi a Dio, nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola, che maturerà progressivamente la loro autentica identità.

Se un padre e una madre diventano consapevoli di essere per i figli i messaggeri di Dio, tutto il resto viene da sé.

 

a) I genitori sono i messaggeri di Dio

Il padre e la madre non sono educatori cristiani qualunque. Essi sono messaggeri di Dio. È Dio stesso che conferisce ai genitori la dignità di educatori. Agli altri educatori rimane il dovere di rispettare questa qualifica, di risvegliarla qualora si assopisse, di promuoverla come un dono del Signore per tutti.

Dal giorno del matrimonio gli sposi sono dotati di grazie particolari che non devono rimanere inattive. Quando la comunità cristiana invita i genitori a educare i figli nella fede, non affida loro un incarico e non chiede una supplenza, ma riconosce in loro un dono che devono far fruttificare e una missione che debbono compiere. Non esiste quindi alcuna delega, perché i genitori sono araldi della fede ed educatori dei loro figli (AA 11; LG 11).

 

Una chiamata personale

Nessuno può arrogarsi il titolo di messaggero di un altro, se non ne ha ricevuto l’incarico. Anche per i genitori sarebbe una presunzione chiamarsi messaggeri di Dio se non esistesse per loro una precisa chiamata in tal senso. Questa chiamata ufficiale c’è stata nel giorno del loro matrimonio.

Il padre e la madre educano i loro figli alla fede, non per un invito esterno né per un istinto interiore, ma perché chiamati direttamente da Dio con il sacramento del matrimonio. Essi hanno ricevuto dal Signore, in modo solenne davanti alla comunità, una vocazione ufficiale, una chiamata personale-a-due, come coppia.

 

Una grande missione

I genitori non sono chiamati a dare un’informazione qualunque su Dio: devono essere annunciatori di un avvenimento, o meglio di una serie di fatti, in cui il Signore si rende presente. Essi proclamano la presenza di Dio, ciò che egli ha compiuto nella loro famiglia e ciò che sta compiendo. Essi sono testimoni di questa presenza amorosa con la parola e con la vita.

I coniugi sono testimoni della fede reciprocamente e nei confronti dei figli e di tutti gli altri familiari (AA, 11). Essi, in quanto messaggeri di Dio, devono vedere il Signore presente nella loro casa e indicarlo ai figli con la parola e la vita. Diversamente sono infedeli alla loro dignità e compromettono seriamente la missione ricevuta nel matrimonio. Il padre e la madre non spiegano Dio, ma lo mostrano presente, perché essi stessi l’hanno scoperto e familiarizzano con lui.

 

Con la forza dell’esistenza

Il messaggero è uno che grida il messaggio. La forza dell’annuncio non è da valutare nel tono della voce, ma è una convinzione personale forte, una capacità persuasiva penetrante, un entusiasmo che traspare in ogni forma e in ogni circostanza.

Per essere messaggeri di Dio i genitori devono avere convinzioni cristiane profonde che coinvolgano la loro vita. In questo campo la buona volontà, lo stesso amore, non bastano. I genitori si devono acquistare, con la grazia di Dio, un’abilità anzitutto rafforzando le loro convinzioni morali e religiose, dando l’esempio, riflettendo insieme sulla loro esperienza, riflettendo con altri genitori, con educatori esperti, con sacerdoti (Giovanni Paolo II, Discorso al III Congresso internazionale della famiglia, 30 ottobre 1978).

Non possono quindi pretendere di educare i figli alla fede se le loro parole non vibrano e non risuonano all’unisono con la propria vita. Nel chiamarli a diventare suoi messaggeri, Dio chiede molto ai genitori, ma con il sacramento del matrimonio assicura la sua presenza nella loro famiglia, portandovi la sua grazia.

 

b) La novità cristiana nel messaggio familiare

Il messaggio è una proposta che trasforma, rinnova, apre visuali sconosciute, ed è destinato a persone ben precise. Esso si esprime in termini essenziali, dice solo quello che è essenziale e importante.

Ai genitori Dio non affida delle semplici notizie che lo riguardano, ma un messaggio che contiene ciò che gli è più caro: la propria immagine, il proprio amore come si manifesta in Gesù Salvatore, la propria vita di comunione con il Figlio e con lo Spirito Santo, che si vive nella comunità cristiana. È un messaggio prezioso, preciso, originale, da conservare con cura, per trasmetterlo in modo completo ai figli, che sono i destinatari privilegiati, anche se non esclusivi.

Per affidare questo messaggio e abilitare coloro che lo annunciano, Dio sposa nel matrimonio un uomo e una donna e li rende coppia. È un messaggio che si ascolta soltanto in famiglia, perché è stato consegnato ai genitori e a nessun altro in modo così incisivo ed efficace. Lo si può sentire anche fuori casa, ma non con quell’accento, quel tono, quella vibrazione, che attinge la sua forza nel sacramento del matrimonio.

Quando i figli frequenteranno il catechismo o andranno a scuola di teologia riceveranno forse un messaggio più esteso, organico e completo. Ma non in quei termini essenziali e fondamentali! Mancherà sempre quel qualcosa che è tipico del messaggio cristiano dato dai genitori. Il padre e la madre sono veramente insostituibili.

Qual è il messaggio che tutti i genitori hanno ricevuto in dono dal sacramento del matrimonio e devono comunicare ai figli?

1) Dio è Padre nostro

Dio chiama i genitori per affidare loro il messaggio della sua paternità e maternità. Uno solo è il vostro Padre: Dio (Mt 23,8).

Può forse una mamma dimenticare il suo bambino, non avere compassione del frutto delle sue viscere? Ma anche se lo dimenticasse, io non potrò dimenticarti (Is 49,15).

Dio, attraverso Gesù Cristo, ci ha insegnato a chiamarlo babbo o papà. Ognuno è invitato ad incontrarsi con Dio con la semplicità e la spontaneità con cui il bambino si rivolge al suo papà e alla sua mamma nell’intimità della famiglia. Questo è un messaggio che i figli imparano con estrema naturalezza nel dialogo, nell’amore e nei comportamenti dei genitori e molto difficilmente imparano da altre persone.

È indispensabile però che il padre e la madre abbandonino quell’amore egoista, geloso, invadente, iperprotettivo, per trasmettere un amore gratuito, oblativo, proprio com’è l’amore di Dio. In tal modo essi realizzano, anche a livello umano, una paternità e una maternità autentiche, perché le riscoprono alla sorgente, cioè in Dio, da cui proviene ogni paternità e maternità. Come è grande la missione dei genitori: insegnare ai figli l’amore di Dio, far sì che questo amore diventi per loro una cosa grande (Giovanni Paolo I, Allocuzione ai vescovi degli Stati Uniti d’America, 21 settembre 1978).

2) Gesù Cristo è il nostro Salvatore

Gesù Cristo ci parla attraverso l’alleanza che egli stringe con gli uomini, a nome del Padre. Il disegno di Dio comprende prima di tutto la sua comunione di vita con noi, cioè la promozione di tutta la persona umana, mediante la liberazione dal peccato. La liberazione, in concreto, si realizza nel riscoprire un nuovo senso della vita e del mondo e nell’orientare il proprio agire secondo la volontà di Dio.

Questo progetto di salvezza che Gesù Cristo attualizza oggi nel mondo lo si incontra nell’impegno educativo dei genitori, i quali promuovono nei figli la crescita dell’uomo nuovo, voluto da Dio, secondo la prospettiva del battesimo. Il disimpegno del padre e della madre, il facile permissivismo, la tacita rinuncia alla missione educativa, ostacolano l’opera salvatrice di Gesù Cristo che deve invece attuarsi mediante la loro collaborazione con il Salvatore.

3) La nostra comunione è nello Spirito Santo

Lo Spirito del Signore risorto è presente nel mondo per creare tra gli uomini la comunione fraterna, perché sono figli dello stesso Padre. Dove poter scoprire questa azione dello Spirito in una società che preferisce la lotta, la violenza e la conflittualità permanente alla fratellanza? Lo Spirito affida questo messaggio alla famiglia, perché i figli in essa hanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa: sempre, attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nel consorzio civile e nel popolo di Dio (GE 3).

Infatti nella comunità familiare non esiste un settore della vita che non sia influenzato dal soffio dell’amore. Il lavoro e il riposo, la donazione fisica e la comprensione, la gioia e la tristezza, l’intimità del focolare e l’apertura verso i problemi degli altri: tutto ciò trova la sua fonte nell’amore e tende al suo approfondimento e al suo soddisfacimento (Lettera pastorale dei vescovi polacchi, 1977).

La comunione reciproca tra i genitori e i figli è segno e anticipo del progetto dello Spirito sul mondo. Il messaggio che Dio affida ai genitori è essenziale, perché contiene il cuore dell’annuncio cristiano.

Al di fuori della famiglia, altri potranno parlare di Dio Padre, di Gesù Cristo Salvatore, della comunione nello Spirito Santo, forse con termini più appropriati e con una presentazione più completa, ma nessuno può sostituire la competenza che il padre e la madre derivano dal sacramento del matrimonio.

 

c) Il messaggio da interpretare ogni giorno ai figli

Ogni messaggio esige di essere interpretato e capito continuamente. Soprattutto dev’essere confrontato con le situazioni di vita, perché esso si rivolge all’esistenza, agli aspetti più profondi della vita là dove si sollevano gli interrogativi più seri che non si possono eludere. Sono i messaggeri, nel nostro caso i genitori, gli incaricati di decifrarlo, perché a loro è stato concesso il dono dell’interpretazione.

Dio assegna ai genitori il compito di applicare alla vita familiare i significati del messaggio e di trasmettere così ai figli il senso cristiano dell’esistenza.

Questo aspetto originale dell’educazione alla fede in famiglia comporta i momenti tipici di ogni esperienza pratica: l’apprendimento di un codice di interpretazione, l’acquisizione del linguaggio e l’appropriazione dei gesti e dei comportamenti comunitari.

 

Il codice dell’interpretazione cristiana

Il messaggio cristiano rivela i suoi significati nel confronto diretto con le situazioni della vita. È di qui che riscopre profondamente la sua realtà di messaggio che salva.

Educare i figli alla fede, per i genitori equivale a trasmettere loro il codice cristiano dell’esistenza, cioè educarli a uno sguardo di fede sugli avvenimenti, sulle persone, sulle cose, sul mondo. Il padre e la madre sono attenti all’ambiente della famiglia dove i fatti, le realtà, le opinioni, i giudizi, si ripercuotono con particolare incidenza.

La parola di Dio trova in famiglia un’eco originale per l’intensità dei rapporti familiari e per la fiducia reciproca.

Sotto l’incalzare di tante situazioni e notizie contraddittorie, che giungono in famiglia soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, è indispensabile un codice interpretativo, che aiuti a formulare un giudizio valido e coerente, senza lasciarsi travolgere dalle facili opinioni correnti.

Tra i diversi modi di giudicare gli avvenimenti c’è quello cristiano che legge gli avvenimenti e la vita alla luce della fede e del progetto di Dio.

Il codice di interpretazione cristiana si può, sostanzialmente, enucleare in questi criteri di base.

1) La provvidenza di Dio

Il Dio di Gesù Cristo è provvidente perché è Padre. È in azione nel mondo con l’uomo, nell’uomo e attraverso l’uomo.

È un Dio che non si sostituisce a noi: per questo il suo progetto incontra molte difficoltà e opposizioni. Al di là delle vicende quotidiane è indispensabile cogliere con lo sguardo della fede la presenza del Signore che intesse con sapienza e pazienza il suo disegno di amore sui singoli, sulle famiglie e su ogni comunità.

I genitori devono educare i figli a questa visione della vita che sa intravvedere il volto di Dio che realizza la sua salvezza nonostante tutto. Per poter interpretare con questa sensibilità cristiana gli avvenimenti è necessario che i genitori abbiano una grande familiarità con la parola di Dio nella quale si può vedere il modo di agire di Dio. La Bibbia è una lettera d’amore scritta da Dio e indirizzata a noi: va letta tutta con fede, volentieri, con amore come tutte le lettere d’amore.

2) La liberazione dal peccato

Nel mondo esiste il male, che il cristiano chiama peccato, con tutte le sue cause e le sue conseguenze: egoismo, ingiustizia, violenza... Le vicende della famiglia a volte sembrano contraddire il disegno d’amore di Dio.

Lo sguardo di fede fa scoprire, anche al di là di tali situazioni, la presenza amorosa di Dio Padre. Il peccato dell’uomo è il luogo in cui si scopre che Dio è l’unico Salvatore.

3) L’attesa dei cieli nuovi e della terra nuova

I genitori devono sapere e insegnare che nel mondo è in azione lo Spirito del Risorto che opera per preparare cieli nuovi e una terra nuova (Ap 21,1). Tale sguardo di fede deve aiutare i figli ad essere protagonisti attivi di questo progetto per rendere la terra più abitabile. È una speranza che viene a noi dallo Spirito.

Infatti la realizzazione di questo progetto di Dio non dipende soltanto dall’uomo, ma è dono dello Spirito che estende al mondo la comunione di vita esistente tra il Padre e il Figlio anticipando così il realizzarsi di una nuova creazione.

 

Il linguaggio della preghiera

Dall’attenzione abituale a cogliere i significati cristiani negli avvenimenti, lo sguardo di fede sfocia nel linguaggio della preghiera, cioè nel dialogo con il Signore.

L’educazione dei figli alla fede si apre così alla formazione al senso della preghiera. Bisogna insegnare loro il modo e lo stile cristiano di parlare con Dio.

La preghiera familiare ha una propria originalità che la contraddistingue da altre forme e trova nei genitori i maestri esclusivi.

 

a) La preghiera è una necessità

I genitori sono invitati a trasmettere:

- il bisogno della preghiera: cioè l’esigenza di rivolgersi al Signore;

- l’amore alla preghiera: cioè la gioia di poter parlare con il Signore, perché il pregare è un dono e un privilegio che egli concede ai suoi figli;

- la fede nel valore della preghiera; cioè la certezza che il Signore ascolta sempre le nostre preghiere.

Nessuna preghiera è inutile, ma ha sempre un grande valore in se stessa.

Dai genitori ai figli, più che le formule, devono imparare il senso, il bisogno, il valore della preghiera.

 

b) La preghiera è il respiro della famiglia

La preghiera scaturisce dagli atteggiamenti interiori con cui si vivono gli avvenimenti. Esiste il rischio di una preghiera astratta, impersonale, abitudinaria, forse anche noiosa, perché ripetitiva e quindi incapace di creare un autentico dialogo con Dio. In famiglia la preghiera ha bisogno del respiro della vita quotidiana, che la rende sempre nuova e diversa. Con l’aiuto dei genitori i figli imparano a dialogare con Dio prendendo spunto da una molteciplità di motivi che rendono la loro preghiera ogni giorno diversa per la tonalità che la ispira.

 

c) La famiglia è una chiesa che prega

I genitori adempiono la loro missione di messaggeri di Dio, se essi stessi per primi lodano il Signore. Non si può infatti far apprendere un linguaggio che non si parla. Per questo motivo la preghiera è sempre familiare, cioè scaturisce da tutta la famiglia, anche se questa, per ovvie ragioni, non può trovarsi sempre riunita.

È importante che chi prega si senta solidale con gli altri componenti della famiglia.

La famiglia è una chiesa che prega. È indispensabile trovare alcuni momenti in cui ci si riunisce insieme per pregare in famiglia.

Il messaggero è uno che convoca per fare assemblea. Tocca ai genitori riunire la famiglia in assemblea di preghiera. La preghiera è un elemento essenziale dell’educazione dei figli alla fede, anzi ne è un indice di verifica e di autenticità.

 

Il modo di annunciare il messaggio di Dio in famiglia

Non è possibile distinguere, in famiglia, tempi e momenti educativi secondo un calendario preciso di interventi e un programma di contenuti. In casa si educa attraverso le esperienze di vita, scoprendo in esse la presenza di Dio che ci parla. Nella famiglia l’educazione alla fede è una realtà di ambiente che corrisponde pienamente all’immagine educativa dei genitori che sono i messaggeri di Dio. La famiglia, come la Chiesa, dev’essere uno spazio in cui il vangelo è trasmesso e da cui il vangelo si irradia (EN 71).

I genitori sono messaggeri di un annuncio che nella vita di famiglia scopre molte occasioni per poter essere trasmesso. Il magistero della parola...in famiglia, è quanto mai semplice e spontaneo. Nasce infatti nei momenti più opportuni e vitali, per celebrare, ad esempio, il mistero di una nuova vita che si accende, per interpretare una difficoltà e insegnare a superarla, per aprire alla coerenza spirituale, per ringraziare Dio dei suoi doni, per creare raccoglimento di fronte al dolore e alla morte, per sostenere sempre la speranza (RdC 152).

È quindi impossibile schematizzare le occasioni e le circostanze. Forse è più importante descrivere gli atteggiamenti interiori che devono animare i genitori nell’adempiere la loro missione educativa.

 

La prontezza

I genitori non sono messaggeri qualunque di Dio pe ri figli, ma i primi (AA 11; LG 11). Questa priorità non è una semplice precedenza di tempo, per cui il padre e la madre sono gli educatori che avviano all’incontro con il Signore e poi affidano i figli ad altri giudicati più competenti e preparati. La qualifica di primi è da intendere in rapporto alla capacità significativa per la quale l’interpretazione dei genitori è fondaamentale perché è alla base di tutte le altre.

Mons. Angelo Roncalli, poi Papa Giovanni XXIII, scriveva ai suoi genitori: Quando sono uscito di casa verso i dieci anni di età, ho letto molti libri e imparato molte cose che voi non potevate insegnarmi. Ma quelle poche cose che ho appreso da voi in casa, sono ancora le più preziose e importanti: esse sorreggono e danno vita e calore alle molte altre che appresi in seguito, in tanti anni di studio e di insegnamento (Lettera ai genitori, 26 novembre 1930).

Per competenza significativa delle realtà di fede, i genitori non sono secondi a nessuno, anche se, necessariamente, è indispensabile poi inserirsi in altre comunità educative.

 

La vigilanza

Consapevoli di questa loro funzione prioritaria i genitori devono essere vigilanti. La vigilanza dei genitori è attenzione a cogliere tutte le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e anche riflessione critica e liberatrice dai facili condizionamenti dell’ambiente e dei mezzi di comunicazione. È sensibilità nel recepire le possibili domande religiose nascoste nell’animo dei figli, lente a emergere per un comprensibile riserbo, soprattutto nei preadolescenti.

La vigilanza dei genitori non è precipitazione, fretta, imposizione, ma scaturisce dal senso di rispetto della storia personale di ogni figlio.

È quindi capace di attendere tempi opportuni piuttosto che anticiparli. Si ispira al senso della sapienza educativa che è dono dello Spirito.

 

La gioia

L’interpretazione di fede che i genitori desiderano trasmettere ai figli è un lieto annuncio. Il messaggero cristiano porta sempre belle notizie perché annuncia il vangelo. Non è giusto rimandare, ritardare o tenere soltanto per sé questa gioia: è necessario condividerla. Il dialogo di fede tra genitori e figli deve sempre avere la tonalità della gioia cristiana: una gioia pasquale da cogliere nella partecipazione al mistero della morte e della risurrezione del Signore.

Non si tace, quindi, il dolore, la sofferenza, la fatica, la morte, l’incomprensione, ma si offrono i criteri per interpretare tutto in chiave cristiana.

La lieta notizia è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione. È un’interpretazione che trova il suo punto di riferimento essenziale nella pasqua del Signore.

I genitori hanno il compito di leggere ogni realtà in chiave pasquale, particolarmente oggi in cui il male fa molto rumore e trova l’eco consenziente e scandalistica dei mezzi di comunicazione.

È necessario aiutare i figli a scoprire il bene, presente a volte in forme umili e nascoste.

Allora sarà più facile per loro pensare che veramente il Signore risorto è presente nel mondo e che con il suo Spirito è in azione per realizzare il progetto del Padre, cioè la salvezza di tutti.

L’accoglienza familiare del messaggio di Dio

Per poter far risuonare il messaggio di Dio nella famiglia è necessario preparare l’ambiente adatto. La dispersione a causa del lavoro, dello studio e di tutte le occupazioni extradomestiche favorisce uno scollamento tra le persone e una divisione di interessi che attentano all’unità della vita familiare anche nel suo aspetto religioso.

Ai genitori spetta il compito educativo di stabilire presupposti per l’accoglienza del messaggio di Dio. Ne indichiamo tre.

 

L’incontro personale

La famiglia deve apparire ai figli come l’ambiente in cui i contrasti si ricompongono nel dialogo reciproco, favorendo la crescita comune.

La casa è, infatti, il luogo dell’incontro personale dove ognuno si sente accolto per quello che è e non tanto per quello che compie.

Senza questo clima familiare, il messaggio di Dio, che contiene una proposta personale, rischia di ridursi a una verità religiosa o a una informazione catechistica, che non riesce a modificare la vita, perché la coglie solo superficialmente.

I genitori sono quindi chiamati a stabilire con i figli un rapporto umano ispirato alla fiducia, alla comprensione, all’amore, alla pazienza, perché in questi gesti risuona con particolare efficacia la parola di Dio.

In questo senso l’autoritarismo o il permissivismo dei genitori possono compromettere seriamente la relazione dei figli con Dio. È importante quindi che l’esperienza dell’amore dei genitori sia consapevole.

A questo proposito, don Bosco diceva: Bisogna che i figli non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.

 

Il senso dell’accoglienza

Il messaggio di Dio, pur risuonando nella famiglia, deve avere un’eco umana e cristiana universale. Esso deve aprire necessariamente la famiglia agli altri.

Per questo i genitori educano i figli a condividere le necessità dei poveri e dei bisognosi non semplicemente per un motivo umanitario, ma cristiano, che vede negli altri persone amate dal Signore. La famiglia che accoglie veramente il messaggio di Dio apre la porta a tutti i grandi problemi che si agitano nel mondo. I figli vengono così sensibilizzati alla dimensione missionaria dell’annuncio cristiano, che deve far scaturire in essi la vocazione all’apostolato.

 

La serenità

Non è possibile ascoltare il Signore, comprendere il suo messaggio nel rumore, nell’agitazione, nella dissipazione.

In una casa dove i genitori non sanno trovare un momento di tranquillità, è difficile cogliere la voce di Dio che parla negli avvenimenti di ogni giorno. È indispensabile quindi stabilire un clima di pace, di serenità e di ordine, dove ognuno, prima di tutto, possa ritrovare se stesso e contemporaneamente scoprire il Signore.

Il passaggio dal rumore al silenzio è sempre una pacificazione ed è indispensabile all’uomo per scoprire lo spazio interiore dove Dio gli fissa l’appuntamento. È importante quindi educare i figli al senso della propria interiorità, che li rende liberi davanti alle pressioni dell’ambiente e li dispone meglio all’incontro con il Signore. La televisione, la radio, il mangianastri, il giradischi..., molte volte, tolgono alla famiglia lo spazio di silenzio che ogni giorno le è indispensabile. Viene così a mancare un tempo prezioso per se stessi e per Dio.

 

Conclusione

Dio invia in ogni famiglia i suoi messaggeri: sono i genitori. Con la loro vita e la forza della parola di Dio devono annunciare ai figli il lieto annuncio della salvezza. Questa salvezza è un dono in cui il padre e la madre devono credere, per trasmetterlo con amore, nella speranza che sia accolto con gioia dai loro figli.